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182 | la leggenda di tristano |
prodezza ched egli sí mise in isconfitta tutta l’oste, e lo conte
d’Agippi sí fue morto per mano di T. Ond’io voglio che voi
sappiate, ch’egli sí fece tanto d’arme che unquamai non fue
neuno cavaliere che tanto facesse d’arme quanto lui. E dappoi che lo conte fue morto, sí come detto hoe, ed egli e lo
re dela Pititta Brettagna sí cavalcarono ala cittade d’Agippi
e quivi sí misero l’assedio molto grande da tutte parti. Ed
appresso sí combatterono la cittade e fecero tanto, che per
forza d’arme e per battaglia sí presero la cittade e tutte le
ville e le castella, e tutte tornarono ale comandamenta delo
re e tutti giurarono suo omaggio, sí come aviano fatte tutte
l’altre sue terre. E per questa sua cagione T. sí prese Isotta
dele bianzi mani per sua dama, e lo re sí gli hae donata tutta
la Pititta Brettagna. Onde sappiate ched egli non tornerae
giamai in Cornovaglia; ond’io sono molto allegro, imperciò
ched io sí lo innodio di tutto mio cuore, perch’egli m’hae
troppo offeso».
CXXXIX. — Ma se alcuno mi domanderá come avea nome questo cavaliere, lo quale avea dette queste parole alo re, io diroe ch’egli si avea nome Lambegues e fue marito dela damigella dell’Agua dela spina. Ma quando lo re Marco intese queste parole, fue molto allegro a dismisura, imperciò ch’egli non vorrebe che T. tornasse giamai in Cornovaglia. Ma tutta fiata si maravigliava dele grande prodezze, le quali egli dicea che T. avea fatte. E istando per uno poco, e lo re Marco sí incominciò a pensare molto fortemente, e dicea in fra se istesso: «Ai T., buono cavaliere e pro, com’è grande damaggio di tee, quando tu se’ disleale inverso di mee! Imperciò ched io so bene che al mondo non ha neuno cavaliere, che tanto possa fare d’arme quanto voi». Molto parlava lo re Marco di questa aventura. Ma istando in cotale maniera, e lo cavaliere sí domandoe congetto alo re Marco e andoe sua via. Ma quando lo cavaliere si fue partito, sí come detto èe, e una damigella la quale sí avea intese tutte le parole le quali Lambeguis avea dette alo re, incontanente sí si n’andò a Braguina, e quando