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avea rinfrescato l’aria e spento la polvere, vedo il signor capitano di ritorno in bicicletta.
«Ma questo è un carro bagagli» — dissi fra me vedendolo arrivare, e arrivava dolcemente, ma con cupo rombo del corno. Egli aveva non soltanto la borsa fra il telaio, ma su la ruota posteriore un suggesto, carico di roba.
— Vengo da X...., — esclamò festosamente da lungi, alzando la mano e cessando dal premere il corno: indi come fu disceso, disse: — Ventiquattro chilometri fatti splendidamente: non abbiamo avuto una panna! Le pare ancora un poco grave? — aggiunse, scrutando con occhio strategico la sua bicicletta.
— Io direi, — risposi.
— Eppure è ridotto ai minimi termini.
— E lei intende con questo bagaglio di recarsi a Parigi?
— Certamente. La partenza è stabilita con data improrogabile la primavera ventura. Ora sto allenandomi.
La visita a Parigi è necessaria al completamento della sua vita. Un mussulmano non muore in pace se non ha adorato la Mecca: un archeologo se non ha visitato Atene. Per il signor capitano Parigi è la Mecca e l’Atene di quell’amabile galanteria in cui trascorse la sua giovinezza rumorosa e serena. Ma non si pensi male, non si creda che malsani e in-