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dato per terra per sorprendere se a caso fosse caduto un fogliettino: ma per terra non c’era niente. Non aveva — evidentemente — altro da comunicarmi che codesto cavaliere.

Ma ciò è grottesco! qui si tratta di una circolare! E la manda anche a me! Mi sono levato; ho abbordato col biglietto in mano alcuni conoscenti:

— Mi faccia il piacere, mi interpreti questo biglietto!

— È semplice: questo signore dà l’avviso che è stato nominato cavaliere. Che cosa credeva che fosse?

— È ben quello che ho pensato anch’io!

— E allora? (Cioè «e allora c’è bisogno di scalmanarsi tanto?»)

Via! rientriamo in noi; vediamo di ragionare, non facciamo scorgere le anomalie del pensiero. Questa è cosa dannosa.

Non si può intanto negare al mio amico che un titolo cavalleresco è molto comodo quando si deve parlare coi camerieri. Per un tenore o un baritono è quasi indispensabile essere cavaliere! Sì, ma il mio amico, benchè tenga conferenze, non è un tenore: egli si vanta di essere un sapiente e di stendere la mano agli aurei pomi del giardino delle Esperidi; ed ora ha l’ingenuità di inviare a me questo fico secco della sua onorificenza!?

Panzini. La lanterna di Diogene. 6