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violinista, come fossero stati freschi di ieri, e io lo stavo a sentire per sorprendere se v’era già qualche venatura di toscano nel suo dialetto, quando il vecchierello disse:

— Ah, se Paganini a Parigi avesse avuto il mio violino! Eh!... — e si posò la palma su la bocca, e stirando occhi e faccia, ne staccò un bacio che mandò verso il cielo, come a dire: «Sarebbe caduto anche quello lì!»

— Avete un bel violino, voi? — domandai.

— Uno stradivario!! — e pronunciò questa parola con voce tremante e lenta, quale un anghelos del teatro greco dovea usare per annunciare un portento. Poi rapidamente in dialetto: — «Am deven veint mella french. Ai ho domandè si j èra mat».

— Ma vendetelo subito!

— E con cosa consolerei la mia vecchiezza? — mi domandò il vecchio, mutando il dialetto nel parlare illustre e con un tuono semitragico di voce.

Veramente io, lì per lì, non compresi che rapporto ci poteva essere tra uno stradivario a consolazione di colui, se non la vecchiezza d’entrambi: e rimasi a bocca aperta, mi soccorse il droghiere dicendo:

— Questo signore suona molto bene il violino.

— «An di dal fott», non dite delle fotte, mi diverto col mio violino, — corresse il vec-