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Io, per cortesia, mi proffersi di andare all’albergo ove egli alloggiava; egli dove io alloggiavo. Curiosa insistenza da ambedue le parti! Infine egli chiaramente dichiarò:
— «Domine professor, caupona ubi sum hospes, admodum humilis et misera est. Non more divitum et publicanorum, sed more clericorum errantum iter in Italiam suscepi. Philosophia in Germania tenuem victum parat». Povera e nuda vai filosofia, «scriptum reliquit Petrarca vester humanissimus».
— «Domine professor», — risposi sorridendo, — «Minerva italica multo crudelior nam suis subiectis cibum ori appropinquat sed non satiat: bonos negligit, protervos adiuvat».
Dopo questa reciproca confessione acconsentì di venire al mio albergo, umile sì, ma con cucina e cantina meritevoli di ogni elogio. Eravamo soli in una discreta stanzetta, e, a marcio dispetto della «philosophia» teutonica e della «Minerva italica», si mangiò bene e si bevve meglio, e dopo cena io declamai del Manzoni la bella stanza:
Chi potrà della gemina Dora,
Della Bormida al Tanaro sposa,
con quel che segue, e del Carducci alcune strofe dell’ode al Piemonte.
Il tedesco era entusiasta e pareva capire benissimo.