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vieri un po’ sudici, ma che parlano, che ridono, che bestemmiano almeno!

Come si vede, la mia ammirazione per l’armonia e la disciplina teutonica era consumata, e tutti quei verboten, mi avevano inimicato alla legge, popolo alquanto sudicio è il nostro, indisciplinato; ama, purtroppo! di portare il coltello in tasca come il garofano ed il basilico all’orecchio. Eppure ride e sorride così umanamente, e la sua parola talora è così gentile e bella, così vivo e ardito è l’aspetto che pare peccato il non aver fede nella sua purificazione e resurrezione.

Quando salii il colle di Superga cadeva il sole del luglio, anche allora.

Fra me e la cerchia cinerea delle Alpi correvano i fiumi come trame argentee di un abito di fata invisibile: invisibile la fata, ma il dolce piano — dall’alpestre roccia onde, Po, tu labi e su cui l’aquila stride — alla torre di Teodorico presso il dolce mare, tutto si discopriva; molto con gli occhi, molto più con la fantasia si discopriva: onde io cominciai a ripetere: «lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina». E lo andava dicendo quel verso come una devota orazione.

E allora anche quella gran mole, lì presso, delle tombe dei re di Savoia mi si trasmutò in una bella e nobile fantasia; e confonden-