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lega, un buon compagno, senza pretese, un po’ strafottente, che aveva la debolezza — appena la confidenza glielo permetteva — di far dell’arguzia ultra-boccaccesca. Povero uomo, non le diceva mica male; ma con quella sua faccia gialla infossata, mi faceva un certo effetto, non da ridere; e fumava le sigarette scaraventando buffi di fumo come per dissipare delle imagini di morte che gli svolazzavano attorno, noiose più che le mosche.
Aveva fatto la cura di Montecatini; però avrebbe fatto meglio a far la cura di lasciar la scuola. Dio, come è resistente il fegato degli uomini!
Io ho saputo che c’era all’ordine del giorno il suo funerale, prima ancora di sapere che era ammalato.
Come era alta la neve quel giorno del suo funerale! Che percorso lungo fino al cimitero!
Avevo in mente le sue facezie di pochi giorni prima; e mi pareva impossibile che dovesse trovarsi muto fra quelle quattro assiciuole nere. Oh, egli parlava ancora, l’allegro compagno, almeno mi pareva che dovesse dire così:
Io sono veramente mortificato, o signori: io giaccio disteso e voi state in piedi; io sto al coperto, e voi sotto la neve e non vi posso nè meno dire: «Accomodatevi!» non posso farvi gli onori di casa. Scusatemi dunque: già,