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Magnavacca è uno dei tanti piccoli porti dell’Adriatico, rifugio alle tartane ed ai bragozzi: sono poche case deserte, e in cospetto del mare sorge uno dei soliti goffi monumenti di Garibaldi, in memoria del suo approdo del quarantanove.
Traversammo, anche qui su chiatta, il canale.
Al di là del canale si apriva la via di Comacchio: un gran nastro che biancicava ancora, snodandosi nella tenebra purpurea: purpurea, perchè la via corre fra le acque della valle o laguna, e queste erano imbevute così di sole che pareano come colorate di sangue; e in mezzo a quel rosso tragico delle acque immote, spiccava la linea nera, fastigiata nelle sue torri, della città di Comacchio. Un castello tragico! Una scena da innamorare uno scenografo! Il Dorè avrebbe invidiato quel paesaggio pe’ suoi fantastici disegni! L’Ariosto l’avrebbe popolato di maghi e di fate.
Era semplicemente la patria delle anguille.
I cinque chilometri che dividono Magnavacca da Comacchio furono percorsi con una velocità tale che il dirlo offenderebbe la mia modestia e quella ben più delicata dei miei compagni. Diamone tutto il merito all’ottima strada, raramente percorsa dai carriaggi.