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(Da quel tempo ad oggi io ho perduto ogni rispetto per i signori possessori di grandi ville e anche per i signori marchesi; molta fede è stata distrutta dall’erosione critica; e fra le credenze infantili non mi è rimasta che quella per gli asini volatori, compreso quello d’Empoli. Povero bambino allora, oggi povero uomo, con troppa fede allora ed oggi con poca!)

Mi ricordai, adunque.

Il vecchio signor marchese — uno dei tanti nobili di creazione papale in questa regione — era morto anche lui. Ma la sua morte era stata come la rottura di una trave di quercia in un’antica casa. Il figlio maggiore aveva ereditato quasi tutto il patrimonio e lo faceva andare in fretta da due parti: da un lato ci aveva attaccato un disperato automobile; dall’altro una vezzosa carnosa moglie, i cui nervi diffusi per l’epidermide perlacea, rabbrividivano di pena se non erano al contatto di sete profumate e trine preziose. Quel suo corpo di alabastro pareva soffrire al peso delle troppe vesti.

Moglie e automobile erano di alta marca, e il giovane signor marchese pareva molto soddisfatto di possedere quei due invidiati attrezzi di voluttà.

Dunque a lui era rimasta la gran villa. La madre con le figliuole erano venute qui a villeggiare.