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pomidori, di finocchi e di sedani interrati. Più bello ancora era l’apiario, dipinta a colori smaglianti: giallo, rosso, bianco; odore di miele e quasi di incenso, di basilico e di maggiorana, murmure sordo delle nere api. Ma bellissimo poi sorgeva un olmo poderoso, degno di essere consacrato ad Ercole; cui verde da un lato abbracciava una splendente edera dai vivaci corimbi; dall’altra parte cingeva, serpendo, una forte vite; e tra il fogliame e i corimbi pendevano grappoli, color d’ambra purissima.

— Io le voglio far sentire questo moscato, e mi dirà poi se è buono, — disse il prete. — Ce n’è poco più e glielo voglio far sentire — e così dicendo tolse dalla tasca un coltellino e, allungandosi sulla già lunga persona, accuratamente recise un grappolo e me lo porse. — Siamo agli ultimi d’agosto, e senta come è matura! — sclamò con soddisfazione.

Assaggiai: l’acino grosso si spaccò, e il dolce liquore si sparse nella bocca a gran letizia e frescura delle papille gustatorie, mentre il grappolo non era scarso di gioia ai nervi dell’olfatto: onde io quella ricca e dolcissima quiete contemplando, non potei vincere me stesso e sentii fiorire entro il mio cuore molte e antiche parole di poetica lode intorno all’ocio religiosorum. Ma il vecchio prete