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mai niente e mi lasciano guardare. Un bimbo — lo scorgeva dal vano della finestra a piano terreno — indicava pur me con insistenza alla madre sua, come a dire: «C’è di fuori quello lì!» Quattro occhi di giovanette, apparendo e scomparendo dall’uscio, come testoline di rondini dal nido, devono aver compiuto una specie di indagine sul mio conto.

Avranno pensato: «Chi sarà? Uno che si vuole buttare sotto il treno? No, perchè sono molti giorni che egli si ferma qui: i treni passano ed egli non si è ancora ammazzato. Un vagabondo, un ladruncolo? Nemmeno, perchè non ne ha l’aspetto. Chi potrà mai essere? Eh, chi può essere?»

Le vidi scoppiare in una risata di cuore, poi si ritrassero in casa; parlarono e anche la madre sorrise, assentendo. La risposta era trovata al quesito:

— Un matto!

Così è forse: a chi percorre la dura via della Saviezza, ad un certo punto avviene di essere entrato nei regni della Pazzia. Spiegato così il mio incognito, nelle sere susseguenti il riso delle donne si mutava al mio apparire in sorriso fuggevole di pietà: il bimbo bensì seguitava ad indicarmi.

Così grandi, solenni, eloquenti erano le tacite cose all’intorno, così profondo era il sen-