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luce del sole che tramonta o dell’alba che aggioga i buoi nel caldo estate. Distinse per lui l’anima del pino, dell’olivo, del cipresso. Sì, Dio Pan questo insegnò, ma non per le dame o i letterati, ma perchè celebrando la vita delle cose, della rondine, del cipresso, dell’insetto, insomma di tutti i figli della terra, più umili e negletti, potesse parere al poeta che quelli pure che stanno sotto la terra avessero intendimento, onde dicessero: «Grazie, figliuolo, grazie, fratello, della dolce canzone».
Così nacquero Myricae olezzanti e vivi fiori, a Dio Pan carissimi. Questi fiori hanno avuto fortuna al di là di ogni aspettazione. Bisogna pur dimostrare che qualche volta c’è giustizia a questo mondo! «La fortuna, — e Dio Pan sorrideva e parlava col rombo delle melodiose cicale, festanti a coro nel grande silenzio, — la fortuna fa come il baro nel giuoco: fa vincere qualche volta, per allettare gli altri.
«Sì, sì, ebbero fortuna Myricae! Era esso un tempo un libriccino piccino, sconosciuto; conosciuto solo agli amici che sospiravano al sospiro e fremevano al pianto. Ma poi il volume diventò grande, e i bottegai che tengono nelle loro vetrine i grandi fiori di carta e di seta, furono lusingati un po’ per volta di que-