Pagina:La lanterna di Diogene.djvu/163


— 155 —

passò a morte; e fa la cavallina storna che lo portò morto a casa, chè era pronto, per la virtuosa sposa, il desinare. Lo chiamarono, ma non scendeva dal baroccino. La dea Temi ha troppi cartafacci ed ha messo questo crimine, insieme con tanti altri rimasti impuniti, nel suo archivio; ma nel popolo, di quel delitto ancor si ragiona, e se ne fa alcuna chiosa.

Mi ricordai allora di Perpetua che diceva al pauroso Don Abbondio: «Le schioppettate non si danno come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano». Dicea però Don Abbondio: «Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l’arcivescovo me la leverebbe?» Sì! dice bene Perpetua; ma Don Abbondio dice, forse, meglio. I cani feroci — è inutile illuderci — mordono. Se ciò non fanno sempre, è perchè non sempre possono.

Mi venne anche alla memoria un libretto di ricordanze «della propria vita», che scrisse un vecchio prete, il quale fu veramente uomo di santa e semplice vita. Egli, appunto in quell’anno 1867, era curato di quel borgo, e a pagina 157 del suo libretto1, racconta la morte di Ruggero Pascoli con queste pa-

  1. Memorie del prof. Canonico Federico Balsimelli, scritte da lui medesimo, pubblicate per cura di Giuseppe Guidetti. Reggio dell’Emilia, presso Primo Borghi editore libraio, 1899.