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XII.

Il camposanto ove nacquero le “Myricae„.


Ieri a mezzodì mi sono perduto — senza alcuna meta prefissa — nel sole e nel verde.

La bicicletta si era fatta automatica, ed io andavo come un sonnambulo.

L’invisibile Dio Pan, quel vecchio tutto a nodi e bitorzoli, a quell’ora soffia su le canne della zampogna o siringa, che già fu Ninfa da lui molto amata; ma il suo canto è soltanto udito dalle cicale che tengono bordone alle rime del vecchio Nume.

È inutile: gli uomini oramai non sentono più la voce degli dei, nè antichi, nè nuovi.

Quand’ecco io vidi davanti a me molte piante di colore e di forma dolente, disposte in forma di croce: erano i cipressi di un cimitero; e allora mi sono ricordato delle parole del carbonaio che appunto è del borgo a cui appartiene quel cimitero: «Il nostro Pascoli — aveva egli detto — adesso è un poeta di fama mondiale». Egli avea detto così proprio, in quel suo ben rude dialetto, mentre versava dal sacco il carbone, e quella luce di ri-