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E così andando, mi sono trovato davanti alla bottega di Pirùzz, il tabaccaio.
Lì c’era Giacomo Moroni, col suo organetto e il suo asino.
— Bravo, galantuomo, suonami qualche cosa di molto allegro.
— Che cosa vuole?
— Quello che ti pare, basta che sia roba allegra.
Adattò la manovella alla cassa, e cominciò il suo lento moto di automa.
Dal ventre dell’organo allora sgorgarono i suoni: i ragazzi accorsero dai loro tuguri, e una bimba sta con l’orecchio appoggiato alla cassa, e il suo volto esprime la meraviglia per quegli echi grandi che si generavano dal ventre dell’organo.
Anche la campagna mi pareva attenta; e gli alberelli lontani mostravano desiderio per accostarsi.
In fondo, la selvetta scura dei pini formava un colonnato con dentro il cilestrino del mare: dietro le colonne, cioè dietro i tronchi dei pini, passavano piano piano i barchetti. Oh, l’ebbrezza di quei suoni! Essi mi scoprivano il paesaggio di là dal mare: vedevo Zara fra le verdi isole; e i timidi barchetti diventavano navi da battaglia.
In quel punto Giacomo Moroni si fermò.