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Ma più invidia ebbi di un altro vagabondo.
Avevo intravvisto dietro la siepe una schiena curva d’uomo, coperta da un mantello grigio; e su la schiena un cappellaccio a forma di petaso d’Ermes, posato in modo che parea non vi dovesse essere, tra cappello e mantello, una testa.
«Che roba è?» dissi fra me, e m’accostai. Al mio accostarsi il petaso si voltò e fece muovere in basso il ventaglio d’una gran barba grigia: sì, c’era una testa o almeno c’erano due occhietti e c’era una gran bocca aperta al sorriso, che disse subito parole che non compresi, ma erano ad esuberanza illustrate dai gesti, che dissero: «Voi volete sapere che cosa faccio io qui? Ceno, signore. Questo che ho qui nella palma della mano sinistra, è il companatico, che è formato di puro sale; questo che ho nella mano destra è il pane, che è formato di puro grano; quella che scorre in fondo al fosso, è la bevanda che è pura acqua. A tanta abbondanza e purità io non mi posso accostare senza rendere grazie al Signore, come voi vedete»; e levatosi il petaso, scoprì un piccolo cranio calvo e, deposto il pane, si frugò in seno e ne tolse un pesantissimo croci-