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XI.
I vagabondi.
L’organetto di Cremona, che tutto il mattino aveva percorsa la spiaggia suonando con incredibile fastidio dei miei nervi, ritrovai che riposava finalmente anche lui.
(Non è improbabile che nei grandissimi pomeriggi del caro estate anche il sole riposi alquanto nel mezzo del cielo, giacchè il giorno, il cielo, il canto delle cicale paiono fermi. Certo quel terribile, stridulo organino di Cremona allora taceva).
Il ponte di ferro sospeso sopra il piccolo fiume dal nome glorioso, proiettava dalla parte del mare una fredda ombra. Sotto il ponte, in quell’ombra, l’organetto riposava. Esso era sospeso per le cinghie ad un carrettino a quattro piccole ruote, e attaccato v’era un asinello. L’asinello aveva declinate le orecchie e dormiva. La donna del vagabondo organista, sdraiata sull’erba, dormiva; disteso supino, l’organista dormiva e il suo volto riarso era rivolto alla tenue brezza marina. Una bizzarra linea geometrica, cadendo giù dal ponte e dallo spaldo, divideva nettamente l’ombra dalla