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quel luogo, montai in bicicletta e ripresi la via del bianco, caro mio romitaggio. L’alba rugiadosa già elevava in oriente i padiglioni di porpora.

Ma dopo un’ora di corsa, ecco io ero davanti al podere di quel villano solerte. In fondo al campo dilungavano i bianchi, enormi buoi ruminanti. Gli umili tamarischi, allineati in siepe, parevano al lento osservatore muoversi a ritmo alla brezza mattutina: leggiadrissima pianta nostra del mare. E la chioma tonda di un eccelso pino parea che si incendiasse di sole come se le resine che gemono dalle sue vene avessero più di ogni altra pianta sentito la fiamma e la virtù del sole.

Un podere così ben tenuto è cosa nobile come un’opera d’arte, è inspiratore come un canto di nobile poeta.

«Vieni, uomo veramente utile, che io ti fregi dell’onorificenza di cavaliere!»

Ma forse questo è scarso premio e giustizia inadeguata. Se fra quei giocatori notturni ci fosse il tuo padrone, oh, come un antico favoloso re-provvidenza rivolgerebbe volentieri le sorti di entrambi!

Manifestai questa bella idea di fare cavaliere del lavoro il contadino valente al signor Pasqualino, uomo di molta pratica mondana e che ha un bel posto nel giornalismo politico,