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mavano ricco; come i ricchi mi avevano respinto sentendo in me il non grato profumo della povertà. Dunque un filosofo è condannato alla solitudine?
Del resto il postino è degno di scusa. Egli mi vede sulla sedia a sdraio bere il caffè e gustare il fumo della pipa: egli invece, carico come un alpino e grondante di sudore, deve correre per le dune a distribuire la posta.
Egli fu costretto una volta dalla necessità del suo ufficio a consegnarmi, mentre stavo così sdraiato, una lettera del valore dichiarato di lire trecento.
Interrogai il suo sguardo, e il suo sguardo diceva così:
«Se nel mondo ci fosse giustizia, questa lettera dovrebbe passare nelle mie tasche».
«Aspetta che ti voglio mortificare e convincere che anch’io sono un lavoratore!», pensai allora tra me, e la mattina seguente ho collocato attorno alla sedia a sdraio molti libri e scartafacci, e a pena sentii il suo passo levai il capo da un pesante volume, e fissando il postino con occhio assorto dietro le lenti:
— Gran fatica, mio caro! — dissi, battendo con la palma sulla pagina aperta.
— Più fatica questa! — rispose senza rispetto, e si passò di coltello la palma sulla fronte, e buttò via il sudore raccolto.