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vose che torreggiavano in alto. Non si vedevano neppure delle rughe sulla superficie della montagna ma culmini orrendi e punte aguzze, tutte uniformi, dal colore olivastro, ammucchiate come scolature di candele intorno al masso centrale della nuda roccia, la cui mole gigantesca sembrava inclinarsi verso di me. La strada era un’amalgama di ghiaia e di pietre, la popolavano squadre di terrazzieri. Nessuno si affrettava; nessuno attraversava la via al suo vicino. Si udivano pochissimi comandi; però, al tempo stesso in cui il mulo mi traeva su in alto seguendo, intorno, intorno, il tracciato della nuova strada, questa sembrava formarsi e compiersi a poco a poco.

Vi sono delle piccole cabine per macchine ai piedi di quelle speciali minuscole funicolari svizzere, le quali per cinquanta centesimi solevano portare in alto gli sportsmen invernali con le loro piccole slitte da toboggan. Il medesimo impianto si trovava qui sopra una piattaforma, tagliata nella roccia e avente lo stesso odore di legno segato di recente, di petrolio e di neve; e vi era lo stesso stadio di uncini tesi, sulla terra fangosa. Ma, invece della ferrovia à cremaillière, un cavo di acciaio poggiato su piccoli pali e portante una cesta a traliccio di fili di acciaio, scorreva su, per i fianchi della roccia, ad un angolo che è superfluo specificare.

Come ferrovia, era un nonnulla — il più insignificante utensile da drogheria, come mi dissero — e in verità ne avevamo veduti di più alti