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sobrio, leale, pronto, con una rigida semplicità tra i suoi soldati e fra i molti pericoli della guerra.

Tutto quel giorno, un picco nevoso triangolare ci era apparso, ergentesi come un’ondata maestosa, ora da una parte ora dall’altra, sulla strada nostra. Sopra il suo versante più ripido ove più alte erano le nevi portava una V larga ed aperta, lunga per miglia intiere in ogni suo braccio e sembrava, nelle luci evanescenti, come un tenue solco, o come una gigantesca traccia di sky, oppure come uno di quegli indistinti canali di Shiaparelli, che segnano la superficie del rosso pianeta Marte. Era il Montenero ed il solco appariva formato dalla linea delle trincee italiane incisa su di esso. Queste sono scavate nella neve che disgela, nella neve ammassata che non si ammorbidisce mai e, quando questa non può posarsi sulle nude rocce, esse sono scavate dentro e fuori a forza di esplosioni nei detriti rinsaldati dal gelo che si trovano sulle creste della montagna. Lassù gli uomini combattono con cannoni da campagna, con mitragliatrici, con fucili e con mezzi più mortali ancora, cioè con valanghe di sassi accumulati, lanciati assieme e mandati a rotolare giù per il monte, al momento oportuno. Se lassù un soldato è ferito e il suo sangue sgorga anche lievemente, prima di essere preso e trasportato è ucciso dal freddo in pochi minuti, non in ore. Compagnie intiere possono esser vittime del congelamento e i soldati restar mutilati; le ondate di vento della montagna afferrano le sentinelle riparate dietro le rocce,