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ranea, abbastanza protetta dallo scoppio delle granate, che tanto sconcerta i feriti e tanto scuote l’apparecchio radiotelegrafico; e — dicevano esse — «non vi pare che ciò sia assai gentile da parte delle autorità?».


I cannoni che aspettano sulle vette.


Gli autocarri straordinari apparivano ora più numerosi — sulla strada anche più straordinaria — di quello che erano stati finora. La nostra guida ce ne fece gli elogi. «Vedete — ci disse — in questi ultimi giorni siamo dovuti passare da qui, per trasportare molte cose al fronte».

«Ma che forse tutti gli Italiani nascono col volano d’una automobile nelle mani?» chiesi io, mentre la lunga fila di carri, dalle alte coperture, discendevano sulla curva che noi salivamo, e, girando su se stessi come un perno e con l’avancarro quasi librantesi su un precipizio di quattrocento piedi di profondità, strisciavano rasenti alla nostra automobile, lasciando appena tre pollici di distanza fra le ruote.

«No» rispose. «Ma anche noi ci siamo lungamente trenati a questo sport. Anzi immagino che gli chauffeurs inabili siano tutti morti».

«E anche tutti i cattivi muli?». — Uno di questi, che pareva colto da convulsioni, si trovava