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golo più remoto dei quali, ciascun altipiano, e ciascuna vallata presenta o nasconde la morte.

Le montagne sono località assai difficili per incursioni di aeroplani, poichè non v’ha luogo ove si possa atterrare con sicurezza, ciò nonostante, i velivoli si accaniscono su di esse, da ogni lato, ed i cannoni antiaerei, che non producono grande impressione sulle pianure aperte, riempiono le gole delle montagne con i loro colpi di tosse, moltiplicati all’infinito, che rassomigliano più al ruggito del leone che al rombo del tuono. Il nemico vola alto sui monti e i velivoli appariscono netti, sullo sfondo azzurro del ciclo, come ceneri di un fuoco campestre turbinanti in aria. Il nemico fa cadere le sue bombe abbondantemente, il resto lo compie poi il destino, sia che risuonino numerosi scrosci sull’arida roccia, o innocui stridii di pietra spaccata, o sia piuttosto che si oda uno sconquasso enorme: e allora è la volta che materiale, uomini e muli sono stati colpiti in pieno.

Se tutto l’ambiente non fosse così simpatico: se alle luci, al fogliame, alla fioritura e alle farfalle accoppiantesi sui cigli verdeggianti di vecchie trincee non fosse lecito — direi quasi — di insultare i lavoratori viventi della morte, le loro opere si potrebbero descrivere più facilmente e senza digressioni.

Quando ci fummo arrampicati sempre più in su per la montagna di fango, giungendo quasi entro le sue stesse viscere, attraverso gallerie ed incroci di gallerie, fino ad un posto di osser-