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che si svolgeva sotto i nostri sguardi. Una di esse, che ci sottostava di pochi piedi, era stata presa e riperduta sei volte. «Ci spazzarono via con le mitragliatrici dalla località dove siamo — disse l’ufficiale; — così dovemmo conquistare prima questo punto più alto. Ci costò parecchio».

Egli ci raccontò di reggimenti distrutti, ricostituiti e ridistrutti, che raggiunsero soltanto alla loro terza o quarta resurrezione lo scopo che si erano prefissi i loro predecessori. Ci disse di morti nemici in gran quantità, sotterrati in talune località sotto alle risuonanti pietre e di una certa Divisione Honwed ungherese la quale reclama, per diritto di sangue, la difesa di questa parte del Carso. Essi pure sbucano dalle rocce, muoiono e rinascono nuovamente, per essere nuovamente uccisi.

«Se voi entrate in questa buca, scavata da una granata — non vi consiglierei però di starvi troppo diritto — tenterò di dimostrarvi ciò che faremo nella nostra prossima spallata», disse l’ufficiale. — «Stiamo facendo preparativi» ed egli, con l’indice puntato spiegò come si sarebbe dovuto operare lungo taluni monti, che dominano certe strade e che conducono finalmente verso la parte settentrionale dell’Adriatico. — Questo mare si poteva scorgere in una chiazza d’argento opaco verso mezzogiorno, sotto alcuni cupi monti ombrosi, che coprivano la stessa Trieste. All’altezza del mento, un condotto, riscaldato dal sole, attraversava la buca ove ci trovavamo e l’acqua