talchè quivi
poco mancò nol creassero principe. Genova dapprima insidiò con gli
usciti; poscia assaltò scopertamente con le armi; e innanti che
denunciasse la guerra, spogliò i Genovesi che ne’ suoi reami
mercatavan sicuri: onde se la forte repubblica il fiaccava nelle
battaglie di mare, non gli mancò pasto all’avarizia. I suoi intanto,
non era violenza o ingiuria che non osassero. Guidone da Monteforte, a
Viterbo, nel tempio, tra i riti del sacrifizio di Cristo, levava
l’empie mani a trucidare e trascinare Arrigo, principe reale inglese;
e, sgridato più che punito, il sacrilego assassino campò. Altri ad
altri misfatti si sciolsero, men ricordati dalle istorie perchè
versavasi men illustre sangue1. Ma la rabbia delle parti accecava
gli uomini a questi evidenti mali della signoria straniera; e in que’
primi tempi della passata di re Cario, la fece
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- Muratori, Ann. d’Italia, 1268 a 1272, ossia i contemporanei quivi citati da lui.
- Saba Malaspina, lib. 4 e 5.
- Annali genovesi, lib. 9, in Muratori, R. I. S., tom. VI, pag. 554 e seg.
In un diploma dato del 1277 dal r. archivio di Napoli, reg. 1268, A, fog. 29, leggesi questo titolo: _Regnante domino nostro Karolo, Dei gratia illustrissimo rege Sicilie, Ducatus Apulie et principatus Capue, Alme Urbis Senatore, Andegavie, Provincie et Forcalquerii comite, ac Romani Imperii in Tuscia per Sanctam Romanam Ecclesiam Vicario generali._
Quanto all’assassinio del principe Arrigo, è indubitata la colpevole indulgenza di re Carlo verso gli omicidi. Benvenuto da Imola nel comento su la Divina Commedia al verso: «Mostrocci un’ombra dall’un canto sola, ec.» Inf., c. 12, riferisce il dilemma che si facea a biasimo di Carlo: «Se il sapea fu un ribaldo; se no, perchè nol punì?»
Ma quanto men volea punire, tanto più romor ne fece, anche per riguardo alla corte di Roma. Un diploma del 23 marzo (1271) nel r. archivio di Napoli, reg. 1268, O, fog. 99, porta queste parole: che il re volea vendicare tal misfatto come se commesso in persona d’un suo figliuolo. Nondimeno il provvedimento contenuto in questo diploma è di staggir le castella e i beni feudali de’ fratelli Simone e Guidone da Monteforte; ch’era un gastigo non molto spiacevole al re, il quale per lo momento incamerava que’ beni.