[1266-82] |
del vespro siciliano. |
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parlamento più non era, ch’ei non
l’adunò in Sicilia mai, come sopra si è detto. E più: se i re normanni
furon tutti coronati ed unti in Palermo; se qui soggiornarono, coi
grandi uficiali della corona, con la maestà tutta del regno; e se gli
Svevi non mutavan punto di quegli augusti ordini, ancorchè secondo i
casi delle guerre lungi dalla metropoli vagassero; or Carlo presa la
corona dell’usurpazione oltre il Garigliano, continuò bene a chiamar
Palermo capo e sede del regno, a far protestazioni menzognere del grande
amor che le portasse1, ma insieme trapiantava primo la regia sede in
Napoli, non per legge, di fatto; perchè a Francia, a Provenza, alla
corte del papa, alla agognata Italia di sopra, più vicin fosse, nè
chiuso dai mari. Perciò non solamente offendea la dignità e ’l dritto
della Sicilia, ma anco i materiali interessi. Spegnea le industrie,
fondate in sul lusso della corte e de’ baroni; quanti per gli ordini
antichi viveano d’un modo o d’un altro, dannava a squallida povertà; le
ricchezze traea fuori senza scambio; il danaro delle tasse sperdea, da
non lasciarne ricader nè una gocciola sola a refrigerio de’
contribuenti. E con ciò la pestilenza de’ reggitori subalterni; la
disuguale amministrazione della giustizia; l’izza del governo, che
odiato odiava, tra i sospetti ognor travagliandosi. Pertanto più acerbi
assai della Sicilia i mali, che delle province di terraferma, ancorchè
le stesse mani governasserle, straniere e crudeli. Ma in terraferma il
novello acquisto della sede
- ↑ _Nos autem qui civitatem eamdem speciali prerogativa diligimus et fovemus, eo quod Caput et Sedes Regni nostri exsistit, etc._ leggesi in un diploma di Carlo I, dato di Napoli a 29 ottobre 1270 in favore del clero palermitano, presso Inveges, Ann. di Palermo, tom. III, pag. 741.