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[1266-82] | del vespro siciliano. | 61 |
riscuote quel tanto, nè a mercè piegasi mai. Di questi non dubbi guadagni anzi invogliato sempre più, non è nei poderi suoi vil cosa cui non attenda; mette a entrata fine il letame delle greggi1, manda gli armenti a satollarsi nelle altrui terre, entro i pascoli non pure, ma nei seminati più belli: e tristo chi si lagni di sofferto dannaggio2!
Volgeasi per le campagne il guardo, e da per tutto era bandita del re; non a sollazzo suo, a dispetto de’ popoli. Occupansi a capriccio i côlti de’ privati; tramutansi in foreste; proclamasi il fatal bando della caccia; ed è uom perduto chi non pure un cervo uccida o un camoscio, ma solamente in que’ luoghi soggiorni o passi, e a’ boscaiuoli regi non aggradi. Incessanti perquisizioni fan quelli, per fame e selvatichezza più intristiti: alla insolenza aggiugnendo l’insidia, spesso ripongon di furto ne’ tuguri alcuna pelle o altro avanzo di cacciagione; e frugan poi; s’infingon trovarlo, e la misera famigliuola inabbissano. Lor parchi allargavan anco i baroni ad esempio del re; con pari giustizia acquistandoli, con pari umanità guardandoli. Infinita la molestia dunque: e ben era ragione che per procacciar
- ↑
- Saba Malaspina, cont. pag. 331, 332.
- Bart. de Neocastro, cap. 12.
- Nic. Speciale, lib. 1, cap. 11.
- Anon. chron. sic. loc. cit.
- D’Esclot, cap. 88.
- ↑ Capitoli del regno di Napoli del 10 giugno 1282.
Il dritto di pascer gli armenti regi era certamente antico sui i feudi; ma Carlo l’abusò, come fece di ogni altra prerogativa della corona.
Saba Malaspina, cont. p. 357.