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amara ma certa medicina a dileguar queste fazioni in un ferocissim’odio comune. E così nel vespro appena si vide un’ombra di parte; ma restò solo per detto di contumelia e villania il nome di Ferracano; che traditor della Sicilia suonava, e partigiano de’ tiranni stranieri.

Nè a particolareggiare i casi atroci di quest’anarchia del sessantasette, vo’ dilungarmi or io dal bello argomento propostomi. Dirò solo quali odî seminassersi allora, che render doveano il vespro più sanguinoso e più grande; perocchè spesso nasce il bene dai mali estremi; e convien sia colma la misura a far che gli uomini tra lor mense, e amori, e guadagni, e ambizionucce, ed ozi onesti, ed ozi vituperevoli, ricordinsi d’esser cittadini, talchè, arrischiando per poco questa vita sì breve e amara, nella causa pubblica risorgano. La quale altra è che lo sciogliersi a misfare senza modo nè grande intento, come allora in Sicilia avveniva. Baroni, borghesi, vassalli con rapine e omicidî e violenze d’ogni maniera laceravansi tra loro: i deboli, al solito oppressi da’ nemici e dagli amici, non sapeano cui ubbidire: era piena la Sicilia di sangue: di fame e di pestilenza perivano i campati alla rabbia degli uomini. Invano qui venne per Corradino il conte Federigo Lancia con una armatetta di galee pisane. Invano per Carlo il prior Filippo d’Egly, degli Spedalieri, frati combattenti, i quali in queste nostre risse mescolavansi più volentieri che nelle sacre guerre di Palestina. Avversi ai carlisti i popoli; i tre capi corradiniani disputavansi l’autorità suprema; e loro forze dividendo, disertaron sè stessi e la causa del principe. Queste parti dunque, delle quali niuna potea vigorosamente ordinarsi e metter giù l’avversa, dilaniarono senza pro la misera Sicilia; finchè, spento Corradino, venner da Napoli a risanarla i carnefici1.


  1. Saba Malaspina, lib. 4, cap. 3 e seg.
    Bart. de Neocastro, cap. 8 e 9.