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[1265] | del vespro siciliano. | 29 |
per suoi conti sovrani; ed or da Beatrice, ultima di quel sangue, era stata recata in dote a Carlo d’Angiò. Quell’acerba signoria, onde la Puglia poi pianse e la Sicilia insanguinossi, spaziavasi già in Provenza: fraude e forza aveano spogliato di lor franchige repubblicane Marsiglia, Arles, Avignone: tra cupida dell’altrui avere, e tremante del suo tiranno, correa Provenza alle armi per aggrandirlo. Smugneanla di danari Carlo e Beatrice; costei fino i suoi gioielli impegnò; altra moneta fornì re Lodovico; altra ne tolse in presto il conte d’Angiò da Arrigo di Castiglia, e da mercatanti e baroni. Così raggranellando di che provvedere ai preparamenti, si raccolsono i guerrieri, ai quali il bando della croce era pretesto, scopo l’acquisto: e venivano sotto la insegna di ventura dell’Angioino, chi condotto per soldo, chi conducendo del suo un picciol drappello, quasi messa di gioco o di commercio, per guadagnar poderi nell’assaltato reame. Sommavano a trentamila, tra cavalli e fanti: e però esercito lo appellano le istorie, non masnada di ladroni, congregati di là dei monti a riversarsi in Italia, a scannar per rubare, e comandar poi, e ribellione chiamar la difesa.
Per arrisicato viaggio di mare, schivando l’armata fortissima di Manfredi, Carlo con un pugno d’uomini venne in Italia: di giugno milledugentosessantacinque prese l’uficio di senator di Roma, assentitogli temporaneamente dal papa: d’autunno le sue genti, valicate le Alpi, non tro-
- Venga in tre mesi dopo la concessione.
- Le condizioni scritte di sopra valgano pei successori di lui.
- E compiuta che sia l’impresa, abbia il privilegio di concessione con la bolla di oro.
- Non tenga per tutta la sua vita l’uficio di senator di Roma.
- Lascilo anzi nel termine di anni tre; e intanto lo eserciti a favor della Chiesa, e disponga per lei i Romani.
di arme (contando 4 cavalli per ogni uomo di arme), 300 balestrieri, ec, ec.