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22 | la guerra | [1252-63] |
e campion della Chiesa. Donde, mentr’ei qui chiamava i popoli a libertà, mercatavali come gregge, prima con Riccardo conte di Cornovaglia, fratel del terzo Arrigo d’Inghilterra; poi con Carlo conte d’Angiò e di Provenza, fratel di
Lodovico IX di Francia; e in fine col fanciullo Edmondo, figliuolo del medesimo Arrigo. Autentiche ne restano le bolle d’Innocenzo e dei successori suoi, le epistole dei re, che queste pratiche rivelan tutte, dalla romana corte per sedici anni condotte a cauto passo, quand’ira o terrore non la stimolavano. E indefessa con brevi o legati a sollecitare i principi, tirare a sè i cortigiani, promettere di ogni maniera indulgenze, sparnazzare le decime ecclesiastiche di cristianità tutta alla occupazione di Sicilia e Puglia, a questo bandir la croce, a questo commutare i voti presi da re e da popoli per la sacra guerra di Palestina. Spesso tra coteste pratiche, la corte di Roma per bisogno di moneta, e necessità di difendersi o voglia d’occupare alcuna provincia di Puglia, accattava danari con sicurtà su i beni delle chiese d’oltremonti; e que’ prelati sforzava a soddisfarli; ai riluttanti mostrava la folgore delle censure. Alcuna volta prendeva a permutar la bolla d’investitura con somme assai grosse di danaro: poi la brama più forte di abbatter Manfredi, rimaner la facea da cotesti guadagni. A lungo tuttavia si differì l’impresa, come superiore alle forze di cui la trattava, e disperata quasi per la potenza e virtù di Manfredi.
Di gran volontà s’era accinto a questa guerra di ventura Arrigo, cupido dell’altrui, ma dappoco, e alla Gran Carta spergiuro, perciò contrariato e travagliato da quegli indomiti propugnatori delle libertà inglesi. Arrigo fermò i patti col papa, e la investitura s’ebbe per Edmondo suo, e le armi faceasi a preparare; ma a tanti atti ne venne arbitrari e stolti, e tanto increbbero in Inghilterra le esazioni di Roma, che il parlamento pria trattenne il re dall’impresa;