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[1285] | del vespro siciliano. | 305 |
chè punto non ne pativano i tempi, rifean pontefice Giacomo de’ Savelli, romano, non per anco sacerdote, attratto e invalido della persona, destro d’ingegno, procacciante l’util de’ suoi più che l’altrui danno; il quale si nomò Onorio IV1. Costui senza la prontezza ligia di Martino, tenne lo stesso metro, per l’antico disegno della romana corte. Avrebbe forse Onorio raffrenato il re di Napoli potente e ambizioso; dovea sostener adesso quel trono vacillante, che metteva in pericolo tutta la parte guelfa in Italia. Porse moneta dunque ad Artois2; confermò ai bisogni della guerra di Sicilia le decime delle chiese italiane3; raccomandò agli stranieri principi gli eredi di Carlo d’Angiò: e ne resta di lui una lettera a Ridolfo imperadore, perchè non contendesse il pagamento delle decime ecclesiastiche dei suoi dominî al re di Francia, già involto in assai spese per la guerra sopra Aragona4.
E noti sono nelle istorie del reame di Napoli i due statuti, ch’Onorio sanciva a sedici settembre di quest’anno ottantacinque, preparati già da Martino. Nel primo dei quali raffermavansi con l’apostolica autorità tutti i privilegi ecclesiastici decretati nel parlamento di Santo Martino, come dianzi ricordammo5. L’altro risguarda il governo civile; dove dopo lungo preambolo, che apponea al tutto la ribellione di Sicilia alle avanie e ingiustizie del governo, trascrissersi e ampliaronsi le leggi del medesimo parlamento di Santo Martino, e molte più se ne dettero a guarentigia delle persone e dell’avere di ogni classe di sudditi.