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16 | la guerra | [1254] |
gava a gridare il nome della Chiesa, e allettava Messina con le vecchie lusinghe di privilegi, il vicerè intrigossi con gl’inviati delle città di Sicilia a trattare col papa; proponea, rifiutava patti; e mandò al papa con gli ambasciadori di Messina, e col vescovo di Siracusa, un suo nipote; tramando sottomano farlo re di Sicilia, che dal pontefice la tenesse, e pagassegli il censo. Gonfio di questi pensieri, quando Manfredi risurto a Lucera chiamavalo all’antica obbedienza, non assentì il conte che ad una confederazione con reciproci patti. E fidavasi tra ’l principato, il pontefice, e ’l popolo traccheggiar sì maestro, che dell’un contro l’altro s’aiutasse a’ propri disegni.
Ma perchè non è felice poi sempre l’inganno, costui non valse a raggirare a lungo le siciliane città: e porse egli stesso l’occasione a prorompere; perchè volendo coprirsi con le sembianze della legittimità, finchè non fosse matura l’usurpazione, battè moneta a nome di Corrado secondo; ch’era un disdir netto la repubblica. Spezzata allora con esso ogni pratica, le città gridaron repubblica sotto la protezion della Chiesa: prima a ciò Palermo; seconda Patti, mossa dal vescovo; ed altre terre seguitaronle. Il vicerè spacciava ambasciatori a Palermo, ed eran respinti; vedea le città dell’Etna levarsi tutte, e con esse Caltagirone, che pose a guasto e a sacco i vicini poderi della corona; non restava che a tentare la forza. Raccolto dunque di Messinesi, e di quanti rimaneangli in fede un grosso di genti, il vicerè assalisce Castrogiovanni, che tentennava; e, dubbiamente difesa, la espugna. Ma quel dì medesimo Nicosia sollevasi, e poco stante molte altre terre; fino i Messinesi dell’esercito levavano in capo: una stessa brama avea preso i Siciliani tutti, nè bastava a trattenerli il veleno delle divisioni municipali. In tal disposizione d’animi, un picciolo intoppo die’ il tracollo al conte di Catanzaro. Appena ributtato da uno assalto ad Aidone,