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296 | la guerra | [1284] |
la Sicilia a casa d’Angiò. Mostrolle Piero ad Alaimo, il quale negò; onde fu lasciato, e vegliato: ma i nipoti indi a poco uccisero un segretario che le avea scritto. Scoperto l’omicidio, un famigliare e Adenolfo alla tortura il confessano, e Adenolfo anche la tentata tradigione con Francia; e però con Alaimo e Giovanni è chiuso nel castel d’Ilerda. Re Pietro fin qui. Più crudo il figlio, salito al trono di Sicilia procacciava lor morte1. Poco del resto è da credere a questi misfatti, come li spacciò da lontano la corte aragonese. Que’ che s’apposero ad Alaimo in Sicilia non son meno incerti. Ne tacciono i due scrittori catalani, come per coscienza di colpa de’ lor signori. Malaspina scrive, che Giacomo nimicava il leontino per aver contrariato la condannagione del principe. Il Neocastro nol fa nè reo nè innocente, ma portato dalla superbia della moglie; e parla incerto, come ammirator dell’eroe di Messina, e ministro insieme di re Giacomo. Di documenti non avvi altro che il mandato del supplizio d’Alaimo nell’ottantasette, sì scuro2, che, se delitto prova, è di Giacomo, il quale senza forme di giudizio assassinò il glorioso vecchio. Portò costui la pena d’aver puntellato di tutta la sua riputazione re Pietro contro Gualtiero di Caltagirone e’ sollevati dell’ottantatrè. E del rimanente furon sole sue colpe, gli obblighi di casa d’Aragona, la gloria della difesa Messina, del dato reame, la riverenza e amor di tutta Sicilia, la grandezza con poca modestia, e sopra tutto l’invidia di Procida e Loria, non cittadini ma venturieri, pronti a sagrificare ogni cosa a chi lor dispensava beni e comando.
Mentre que’ primi casi d’Alaimo travagliavano la Sicilia, re Carlo consumava le forze del regno e sè stesso, nel delirio di tornar sopra l’isola. Ritirandosi, inseguito dall’armata nostra, sostò pochi giorni a Cotrone; ove crebbe a