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292 | la guerra | [1284] |
dicea, chi potesse svolgerlo, se non che Alaimo; salvasse egli la patria e la corona; andasse al re, sulle galee lì pronte a tornare in Catalogna: e finito il dir dell’infante, più efficaci di lui i consiglieri facean ressa ad Alaimo. Li comprese; non vide scampo il grande; li guardò in volto; e rispose che andrebbe. Lo stesso giorno dunque, che fu il diciannove novembre dell’ottantaquattro, entrò in nave; ebbe cruda tempesta a Favignana, sì che una galea ruppe a Levanzo; con le rimagnenti a Barcellona arrivò. Quivi tutto lieto in volto l’accoglie re Pietro; ascolta, loda, promette che faranno insieme ritorno in Sicilia: vezzi leonini, che nè Alaimo nè altri ingannarono1.
Comandato avea senza dubbio Pietro medesimo questo rapimento d’Alaimo, in un con la dimostrazione di condannare il principe di Salerno, strettamente connessavi, com’anzi dicemmo, e dagli storici, per amor di parte o dubbiose notizie, narrata variamente sì, ma in modo da non dilungarsi gran tratto dal vero, e lasciarci vedere in fondo che fu artifizio per ritrovare i ligi della corte e i resistenti; per troncar tutte pratiche, spaventando e i nostri e i prigioni; per ridestar le antiche passioni del popolo a tanto strepito; e prepararsi lodi di longanimità con trattener la scure che sospendeasi sul capo al figliuol di re Carlo. E avea Alaimo, o in adunanza pubblica o in maneggi privati, contrastato questa condannagione del principe; il che forse fu cagion principale del suo precipizio2. Ma divulgato
- ↑ Bart. de Neocastro, cap. 88.
- ↑ Secondo il catalano Montaner, cap. 113, 114, i governanti di Sicilia, liberata la minutaglia dei prigioni della battaglia di Napoli, domandavano al re a Barcellona: che far de’ nobili, che del principe? e convocavano di lì a due mesi, per dar tempo alla risposta, un parlamento a Messina. S’ebbero incontanente lettere del re, segretissime, fuorchè alla regina, a’ figli e all’ammiraglio; ma tutto che s’oprò fu dettato da quelle. Indi adunato il parlamento de’ nobili, sindichi delle città, e Messinesi a pien popolo, Giacomo tornava a mente i fatti di Manfredi e Corradino, quasi chiedendone vendetta nel sangue dell’unico figliuolo di re Carlo: onde tutti il chiamarono a morte, e la sentenza fu distesa; ma Giacomo inaspettatamente, per campare il principe di Salerno, lo fè imbarcare alla volta di Catalogna: il che prova quanto mal ricordavasi il fatto Montaner, e quanto volea inorpellarlo a lode di Giacomo. Saba Malaspina, cont., pag. 420, 421, scrive ancora del parlamento in Messina, supponendo che gli usciti napoletani persuadessero la regina a quella vendetta; perilchè chiamati dall’isola tutta i nemici più fieri del nome francese, fu posto il partito; ma contrastandolo i Messinesi, il parlamento scioglieasi a tumulto; e gli esuli sfogavano con ammazzare quanti colsero de’ prigioni. Questo scrittore aggiugne, che Giacomo fieramente nimicava parecchi nobili per aver negato di andare al parlamento, o di condannare il principe; tra i quali Alaimo di Lentini, famoso e caro per tutta Sicilia, onde per torlo dal centro delle sue forze, a tradimento l’addusse in Palermo, e poi in Aragona il tramandò. Il Neocastro, cap. 87, 88, non dice di parlamento in Messina, ma in Palermo, adunato dopo il tumulto contro i prigioni in Messina. Dalle quali testimonianze si vede dubbio se prima dell’ammazzamento de’ prigioni ci fosse stato un parlamento in Messina; ma risaltan sempre scolpitamente gli umori e le cagioni che io scrivo nel testo.