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[1284] | del vespro siciliano. | 269 |
fin quando Carlo salpò; e fitti gli occhi sulle navi, avea visto l’affrontata, e la fuga, e sparir la galea capitana; nè sapea spiccarsi dal guardare, dileguata anco la flotta napoletana, e caduto il dì. Pallido e ansioso a lei venne il cardinale, spaventato dal minaccevole aspetto della plebe: e pensando insieme a que’ prodi, or li temeano uccisi, or li speravan prigioni; quando due galee siciliane approdarono con una lettera del principe. A lui, trepido di sua sorte in guerra spietata, l’ammiraglio avea richiesto sciolta di presente la Beatrice, giovanetta e bella figlia di Manfredi, ch’orfanella passò dalla cuna al carcere di Carlo, e ivi stette come sepolta. Scrivea il principe dunque, si rendesse immantinenti la donzella: e i Siciliani aggiugneano che se no, lì, sulla galea, in faccia a Napoli a lui mozzerebbero il capo. Indi la principessa a cercar Beatrice, a donarle gioielli e femminili arredi, e gittarsele ai pie’ che salvasse per Dio la vita a Carlo suo. Recarono alla flotta con molto onore Beatrice; e si sciolser le vele. Alle bocche di Capri, Riso e Nizza, come traditor maledetti, furon sulla galea di Loria dicollati. Entrò l’armata nel porto di Messina1.
Dove al primo scoprir quelle vele, con susurro e ansietà precipitava il popolo alla marina, d’ogni età, d’ogni sesso; ma visti i segni della vittoria, e le galee prese, e saputo prigione il principe di Salerno con tanti baroni, inenarrabile allegrezza si destò. Sbarcate le turbe de’ prigioni, proruppe il volgo, com’e’ suole in ogni luogo, a insultarli;
- ↑
- Bart. de Neocastro, cap. 77.
- Saba Malaspina, cont., pag. 408, 409.
- D’Esclot, cap. 128.
- Memoriale de’ podestà di Reggio, in Muratori, R. I. S., tom. VIII, pag. 1158.
- Montaner, cap. 113.
- La condanna di Riso e Nizza è riferita dal Neocastro, che solo tra gli scrittori della battaglia fa menzione di quei due sciagurati.