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[1283] | del vespro siciliano. | 235 |
Ma poco appresso proruppe a comandar guerra e morte, non aspettato
pure il decorso de’ termini, «Sorga il Signore, esordiva da Orvieto a
tredici gennaio milledugentottantatrè, sorga il Signore, giudichi la
sua causa, per le offese che gli stolti vengongli recando ogni dì:» e
sermonando del racquisto di Terrasanta, attraversato da Piero e da’
Siciliani con molestar la Chiesa, «Iddio però, ripigliava, muova
contr’essi a battaglia; e noi, per divina misericordia forti
dell’autorità degli apostoli, esortiamo i cristiani tutti a levarsi
per noi, per Carlo nostro figlio diletto; qual muoia nella impresa
sciogliam dalle peccata, come se in guerra di luoghi santi1.»
In fine, a diciannove marzo, fulminò da Orvieto l’altra sentenza. Rinfacciò a Piero i primi suoi armamenti in Catalogna; il passaggio sopra l’Affrica, con forze non pari a tanta impresa; i messaggi a’ Palermitani per indurarli nella ribellione; le perfide ambascerie alla corte di Roma; la fraudolenta occupazione del reame di Sicilia. Ma la Sicilia, dicea, terra è della Chiesa; e anco feudo nostro l’Aragona, per l’omaggio prestato a papa Innocenzo terzo dall’avol di Pietro. Questo dunque sleale vassallo per tradigione deponghiam noi dal regno d’Aragona; altri ne investiremo a piacer nostro. Con ciò scomunicollo una terza volta: scagliò interdetto su quantunque città tenessero per lui2. Nella quale sentenza allegò Martino l’avviso dei cardinali; onde, se non mentì netto, cavillò; leggendosi nelle istorie del suo medesimo segretario, come parecchi fratelli del sacro collegio forte la dissentissero. Di ciò, segue il Malaspina, arduo sarebbe, e più da indovino che da fedel narratore, a scrutar la cagione: e anco toccando l’autenticità dei titoli del papa sopra Aragona, e