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224 | la guerra | [1283] |
mai spergiuro non infamò il sangue regio d’Aragona; non si mostrasse egli primo a tutta cristianità mancatore e codardo. Stretto dunque a tornar di presente in Sicilia e affrettarsi al duello, fremendo Pietro si restò dalla impresa di Calabria; le terre occupate abbandonò; sciolse l’esercito: e lo stesso dì Gualtier da Caltagirone alfin veniva al campo di Solano: tardo consiglio in vero a purgar sì gravi sospetti1.
A dì quattordici aprile, con le genti e il vasto bottino, Pietro valicava lo stretto. Il ventidue la reina co’ figli, chiamata da Palermo, con lui si trovò a Messina2. Dove adunati a parlamento il dì venticinque i sindichi delle città, per ordinare lo stato prima ch’ei si partisse dall’isola, con assai dimostrazione di affetto, il re lor presentava que’ suoi carissimi pegni, e: «Partir, dicea, m’è forza da questa terra, che amo quanto la stessa mia patria. Io vado innanti a tutta cristianità a confondere il superbo nostro nimico; a vendicare il mio nome nel giudizio di Dio. Perchè tutto io ho commesso alla fortuna per amor vostro, o Siciliani; e nome, e persona, e regno, e l’anima stessa. Nè men’incresce già, vedendo coronata l’impresa dall’onnipossente man del Signore; il nimico lungi di Sicilia; inseguito e prostrato in terraferma; ristorate le vostre leggi e franchige; voi crescenti a ricchezza, a gloria, e prosperità. Lasciovi una flotta vincitrice, capitani provati, fedeli ministri, la reina vostra e i nipoti di Manfredi. Questi giovanetti, la più cara parte delle mie viscere, io v’affido, o Siciliani, nè tremo per essi. Anzi, com’aspri e dubbi sono i casi della guerra, ecco novissima guarentigia a’ vostri dritti: Alfonso avrassi alla mia morte Aragona, Catalogna e Valenza; Giacomo, secondo figliuol mio, mi succederà sul