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del vespro siciliano. |
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ei stesso con trecento cavalli e cinquemila almugaveri calavasi chetamente da Corona: e giunto a tre miglia da Seminara, fatte posar le genti svelò il meditato colpo. Quel generoso Alaimo il contrastava. Qual lode a re, dicea, da notturna rapina, e disutile strage? Vano il pensier sarebbe di tener Seminara sì presso al campo nimico. Lasciata dunque la misera terra, al campo si vada: lì il principe di Salerno, il fior della corte di Francia, sbadati, sicuri; investisserli risolutamente; che l’audacia partorirebbe fortuna, o gloria certo. Taccion le istorie il contegno del re, le parole, che furon certo pacate, i proponimenti, forse fieri e sinistri, che gli si ribadirono in mente contro l’eroe di Messina. Ostinato a Seminara ei marciò. Dove mentr’una schiera accostavasi al muro debolmente combattuta delle guardie, gli altri occupate velocissimi le porte, troncano ogni difesa. Il re, come se pratichissimo della terra, dritto sprona all’albergo del tesoriero: nè la moneta pur trova, mandata al principe il dì innanzi. Allora, postosi fuor dalle mura, alle riscosse contro gli aiuti che potesser venire dal campo, inondan Seminara gli almugaveri. Il Barrotta, d’ordine chierico, soldato a’ costumi, desto dal fracasso, lasciando una donna che seco avea, sorge, dà di piglio all’armi, e fieramente difendendosi è morto. Cadon altri resistendo; e fuggono i più, qual senza panni, quale a piè, qual balzando sull’ignudo cavallo; ma era gente sì ordinata, che, non ostante il subito scompiglio, da cinquecento rannodaronsi di lì a una mezza lega aspettando il dì, e partendosi poi i nostri, rientrarono in Seminara. Messa questa intanto a ruba e a guasto: per severo divieto del re furon salve tuttavia le vite degli abitanti, che fuggendo si dileguaro. Al nuovo albore straccarichi di preda rinselvansi i Catalani e i Siciliani alla Corona; non molestati dal nemico, il quale agli avvisi dei fuggenti s’era desto a tumulto, ma sorpreso e scoraggiato sì fattamente, che vo-