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del vespro siciliano. | 7 |
difesa, nè alle altre si estendeano, nè duravano oltre l’immediato bisogno. Difformi i reggimenti, e mutabili, e incerti; e qual città si ricattava, qual ricadea sotto immane tirannide. Brulicavano in Italia cento e cento piccoli stati, pieni di passioni, di vita, di sospetti, di nimistà; pronti a servir ciecamente ad ambizioni maggiori, che nel parteggiare trovavan campo, e più rinfocavano a parteggiare.
Ondechè la corte di Roma, conscia delle sue forze, agognò alla dominazione, or mettendo innanzi concessioni e diritti, or sotto specie di farsi scudo a libertà; e gl’imperatori tedeschi, com’e’ poteano, al racquisto del bel giardino sforzavansi. Elettivo allora di Germania il re, che re de’ Romani per vanità pur s’appellava, e imperatore, quando assentialo il papa, arrogantesi dar questo titolo e questa corona; ma disputata e mutila, sotto il gran nome de’ Cesari, l’autorità. Tenean ogni possanza in Lamagna i grandi feudatari, e le città libere; indocili, gelosi, di lor franchige superbi. Donde nè gagliardi, nè continui gli sforzi degl’imperatori su l’Italia; imprese di venturieri, non guerre di poderosa nazione: e scorati e stanchi avrebbero forse i Tedeschi lasciato quest’ambizione, se l’Italia medesima non si fosse precipitata ad aiutarli con quella maladizion delle parti, i cui nomi a maggior vergogna si tolsero da due case tedesche. I Guelfi allo inerme pontefice, gli altri allo straniero lontano, davan fomite e forza; tra loro atrocemente dilaniavansi; e a questo eran paghi, di libertà, di servitù non curandosi. E quasi non bastassero a lor passioni insociali quelle divisioni, le tramutavano in altre di nomi e sembianze diverse; nelle repubbliche vi si mescolavano le usate parti di nobili e popolani: era per tutto una confusione, una rissa brutale. Così stoltamente sciupossi quel nerbo di valor politico ond’era rigogliosa l’Italia; l’Italia si preparò secoli, e chi sa quanti? di servitù senza quiete.