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198 | la guerra | [1282] |
del comune di Firenze, nella cieca fuga mal difeso o gittato; e l’appendeano in voto nel maggior tempio1.
Ebbe questo memorabil esito l’assedio di Messina. Tra le gare, fanciullesche sì ma parricide, onde la patria nostra cadde lacera e schiava, splende indivisa la gloria delle due maggiori città nella rivoluzione del vespro. Ne levò l’insegna Palermo; rapì seco la Sicilia intera al gran fatto: non assestato il reame per anco, e minacciato da tant’oste, Messina il salvò con quella eroica difesa. Indi la fama a celebrar di Messina il capitano, i cittadini, le donne; e di codeste animose e gentili cantava la rinascente musa d’Italia; e le altre siciliane spose e donzelle, come da ammirazione si fa, prendeano ad imitare il lusso di lor fogge e ornamenti; che dileguato il pericolo, ripigliossi ogni dilicato vivere tra i commerci, le industrie, le ricchezze della valente città2. Di stranieri non pugnavano per lei nello assedio che sessanta Spagnuoli: v’eran da cento Genovesi, Viniziani, Anconitani, Pisani3. Del resto nè cittadini esercitati all’arme pria dell’assedio, nè avea fortificazioni, se non che rovinose, e slegate tra loro4: onde in molte parti fu mestieri supplirvi con le barrate; e pressochè senz’avvantaggio di luogo molti affronti si combatterono. Diversa in vero da quella dei nostri dì, e men