[1282] |
del vespro siciliano. |
189 |
aspettando il dir del Catalano. Perciò
questi brevemente si fe’ ad esporre l’ambasciata del suo signore,
richiedente il conte d’Angiò e di Provenza che lasciasse la terra di
Sicilia, a torto occupata, atrocemente manomessa, in cui aiuto il re
d’Aragona s’era mosso come signor naturale, pel diritto dei suoi
figliuoli. A queste parole, i brividi della febbre preser l’antico
monarca; convulso ammutolì. Poi rosicando il bastone, com’ei solea per
soperchio furore, interrotto e minaccioso rispondea: non esser la
Sicilia nè sua, nè di Pietro d’Aragona, ma della santa romana Chiesa;
ei difendeala, e saprebbe far pentire il temerario occupatore. Queste
ed altre superbissime parole, secondo altri cronisti, scrisse a
Pietro1. E intanto per far sembiante di non curare, o per ingannar
loro e i Messinesi, lasciò
- ↑ Questa prima ambasceria è rapportata dagli scrittori contemporanei in vario modo, ma tutti tornano a questo: che stando Carlo d’Angiò all’assedio di Messina, Pier d’Aragona, già salutato in Palermo re di Sicilia, mandava a ingiungerli che subito si partisse dall’isola; e Carlo fremente per dispetto, ritorcea su lui questa intimazione con molte minacce.
Niccolò Speciale, lib. 1, cap. 17, Bartolomeo de Neocastro, cap. 45 e 49, Montaner, cap. 61, Bernardo d’Esclot, cap. 92 e 93, dicon di sola ambasciata, senza riferire le lettere. Secondo essi la somma delle ragioni di Pietro era: il dritto della moglie e de’ figli, e la elezione de’ Siciliani; onde a lui appartenendo il reame, facea avvertito Carlo a sgombrarlo, e levarsi dalle offese di Messina. Poco scrivon della risposta di Carlo; forse non amando a ripetere ingiurie contro il re di Aragona.
Saba Malaspina, cont., pag. 379 a 381, porta una epistola, ch’ei dice breve e non è. Al magnifico uomo Carlo re di Gerusalemme e conte di Provenza, Pietro d’Aragona e di Sicilia re. Trovandone in Barbaria a guerreggiar contro infedeli, vennero oratori di Sicilia ad esporre la tirannide che li opprimea. Perchè questo reame appartiene alla consorte e a’ figli nostri, non potemmo ricusare il nostro aiuto alla Sicilia. Qui saputo l’assedio di Messina, mandiamo a richiedervi che lo sciogliate; e, indugiando, muoveremo con le nostre forze. Questo è il compendio dell’epistola. Somiglianti parole mettonsi in bocca agli ambasciadori. Carlo risponde loro a voce: maravigliarsi della non provocata offesa del re d’Aragona; a sè appartenere il reame per concession della Chiesa; Pietro usurpane il titolo per false ragioni; ma troppo ei si affida in sè e in sua gente, se viene in arme contro a noi. Mostreremgli adesso com’ei s’è gittato a impresa da stolto.
Nella cronaca del monastero di San Bertino, Martene e Durand, Thes. Nov. Anec., tom. III, pag. 763, a un di presso è riportata nell’istessa guisa la lettera di Pietro; se non che s’aggiugne la circostanza, che a lui guerreggiante in Barberia, la corte romana negò ogni aiuto; sulla qual ragione, come si ritrae da diverse memorie, egli facea molto assegnamento. La risposta di re Carlo fu aspra e villana; e conchiudea, che se Pietro avesse voluto conservare ombra di riputazione, non avrebbe dovuto cacciar fuori il capo dalla sua spelonca. Vedrebbesi al fatto, se questo giovane sarebbe tanto audace da sostener i prodi Francesi pronti a combatterlo.
In sensi non molto diversi, ma in tenore più breve, si leggono le due epistole nella Cronica di Rouen, presso Labbe, Bibl. manuscripta, tom. I, p. 380.
Nell’Anon. chron. sic., cap. 40, si legge al contrario una epistola di Carlo a Piero, e la risposta: lunghe oltremodo, intessute di frasi bibliche, e di ingiurie, tra le quali nuotano le reciproche ragioni, che sono a un di presso quelle accennate dianzi. Le stesse due epistole son trascritte da Francesco Pipino nella sua Cronaca, lib. 3, cap. 15 e 16, in Muratori, R. I. S., tom. IX.
Ma in Giachetto Malespini, cap. 212, Giovanni Villani, lib.7, cap. 71 e 73, e nella Cronica della cospirazione di Procida, pag. 271 e 272, trovansi in forma assai diversa le due lettere: intorno le quali poco io m’affaticherei, per la poca fede che do a quegli scrittori, se non fosse che leggonsi con alcune varianti nella raccolta degli atti pubblici d’Inghilterra per Rymer, tom. II, pag. 225, senza data.
La lezione del Rymer è questa; nella quale noterò le varianti del Malespini e del Villani, e quelle della Cronica siciliana che non si limitino alla diversità del dialetto:
- Piero d’Araona e di Cicilia re (Piero di Raona re di Cicilia--_Malespini_), a te Carlo re di Jerusalem et di Proenza conte.
- Significando (Significhiamo--_Malesp. Villani_) a te il nostro advenimento nell’isola de Cicilia sì come nostro giudicato a me per autorità di Santa Chiesa e di messer lo papa (papa Niccolaio e dei suoi frati cardinali--_Malesp._ e di lu santu apostolicu papa Nicola terzu--_Cron. sic. della cospirazione_) et de’ venerabili Cardinali;
- Et poi (però--_Malesp. Villani_) comandiamo a te che veduta questa lettera ti debbi levare dall’isola con tutto tuo podere et gente:
- Sappiendo che se nol facesti (altramente--_Malesp._) i nostri cavalieri et fideli vedresti di presente in tuo dannaggio offendendo la tua persona e la tua gente.
- Carolo per la Dio gratia di Jerusalem et di Cicilia re prence di Capoa, d’Angiò et di Folcachier et di Proenza conte, a te Piero d’Araona re et (conti di Barcellona--_Cron. sic._) di Valenza conte.
- Maravigliamoci molto come fosti ardito di venire in sul reame di Cicilia giudicato nostro per autorità di Santa Chiesa Romana;
- Et però ti comandiamo (e perzò ti cummannamu per l’autorità di nostru cummannamentu chi immantinenti viduti, _Cron. sic._) che veduta nostra lettera ti debbi partire dal reame nostro di Cicilia sì come malvagio traditore (tradituri o di presenti vidirriti lu meu adventu e di li nostri cavaleri li quali disianu trovarsi cu la tua genti--_Cron. sic._) di Dio et Santa Chiesa Romana:
- Et se nol facessi (E se ciò non farai ti disfidiamo, e di presente ci vedrete in vostro dannagio--_Malesp._) diffidiamti come nostro inimico et traditore; et di presente ci vedrete venire in vostro dannaggio però che molto desideriamo di vedere (voi e la vostra gente--_Villani_) noi et la nostra gente con le forze nostre.
Or sulla prima di queste epistole è da notare che Pietro allega la sola fallace e ignota ragione della concessione di papa Niccolò terzo, non accennata da lui nel manifesto scritto d’Affrica a Eduardo, docum. VIII, nè ricordata da alcun documento, o memoria degna di fede; e che per lo contrario tace le buone e solide ragioni del dritto della regina Costanza, e della elezione dei Siciliani, e l’altra, ch’ei tanto metteva innanzi, dei denegati aiuti del papa contro gl’infedeli; le quali ragioni leggonsi nel detto manifesto, in Saba Malaspina, nella Cron. di S. Bert., e negli istorici siciliani e catalani più informati del linguaggio della corte aragonese in quest’incontro. Questa circostanza sola basta a mostrare apocrifa la lettera. È impossibile che Pietro passando sotto silenzio i veri suoi dritti si fondasse tutto in su quella vaga asserzione; e ciò contro il detto ai potentati d’Europa; e ciò nel primo atto in buona forma ch’ei mandava allo usurpatore; e ciò mentre papa Martino solennemente favoreggiava e sostenea costui, onde sarebbe tornata vana qualunque anteriore concessione di Niccolò III. Aggiungasi che se fosse stata vera questa lettera di Pietro, la corte di Roma non avrebbe lasciato di smentirlo; e che egli all’incontro, quando fu deposto dal reame d’Aragona appunto pel fatto di Sicilia, avrebbe protestato di certo, pubblicando la concessione di Niccolò III.
Tradiscon di più la risposta di re Carlo, quelle parole «malvagio traditore di Dio,» nostro inimico e traditore. Si ponga mente in prima, che nei diplomi autentici del duello dei due re, questi gravi sfregi non si leggono, ma che Piero fosse entrato nel regno di Sicilia contro ragione e in mal modo. E quando, fallito il duello, Carlo rinfacciava al nimico le ingozzate offese (diploma in Muratori, Ant. ital., tom. III, Dissertazione 39), faceasi con molta cura a spiegare, che per quelle parole «contro ragione e in mal modo» avesse voluto significare, il più cortesemente che si poteva in carteggio di re, l’accusa di traditore; che Pietro d’altronde avea compreso benissimo, e dettolo agli araldi che gli portaron la sfida. Egli è evidente che re Carlo, se avea già scritto letteralmente «malvagio traditore» in quella prima epistola, ricordava adesso queste parole, e non silloggizzava di averle adombrato in quel composto e misurato linguaggio.
A ciò s’aggiunga, che le due epistole son rese d’altronde sospette dalle varianti tra i testi di Rymer, Malespini, Villani, e della Cronica della cospirazione; e che a stento crederebbesi che due principi, l’uno francese, l’altro catalano, le scrivessero in volgare d’Italia; quando il carteggio tra’ grandi, e gli atti pubblici dettavansi di quel tempo in latino, e si sa essere stati scritti in latino appunto e in francese i diplomi ne’ quali fermossi poscia il duello. Per queste ragioni le tengo apocrife, come giudicarono il Raynald, Ann. ecc., 1283, §. 5, e il Muratori, Ann. d’Italia, 1282, che le disse fatture de’ novellisti d’allora; l’uno e l’altro anche senza avere per le mani il manifesto di Pietro, nè la continuazione dell’istoria di Saba Malaspina. Nè importa che trovinsi nella collezione degli atti pubblici d’Inghilterra, quando nè erano scritte da quella corte, nè ad essa drizzate; onde ben potè avvenire, che per via degli ambasciadori mandati poi da Eduardo ai due re, o altrimenti, fosser capitate a corte d’Inghilterra le copie che giravano per l’Italia di que’ supposti diplomi, ne’ quali chiara si scorge l’impronta di mano guelfa.
Io penso che, se lettere si scrissero in quell’incontro, fossero ne’ sensi riferiti da Saba Malaspina e dalla Cron. di S. Bert., che più si avvicinino a que’ degli altri contemporanei, e ben ritraggono del manifesto di re Pietro ad Eduardo d’Inghilterra più volte ricordato di sopra.
Nei particolari dell’ambasceria di Pietro a Carlo ho seguito a preferenza il d’Esclot, che vien raccontandoli assai minutamente, in guisa da mostrarsene informato da vicino.