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conforto ai buoni; seguita anco dai pravi, perchè feano a metà: calpestavanla nelle opere, la onoravano della fede e del culto, a quetar la cieca paura delle loro coscienze. I ministri perciò dello altare, crebbero di riputazione, crebbero di ricchezze; chè vantaggiavano inoltre i laici per lume di scienza, e adopravan destri ambo le chiavi, e non pochi la purità del Vangelo contaminavano con la superstizione, che ai barbari è più grata. A puntellarsi di loro autorità pasceanli i grandi; i popoli indifesi teneano a loro, credendo trovar sostegno, e in realtà ne davano: ma soprattutto fu la corte di Roma che consolidò la smisurata possanza. Perchè assicuratosi non disputato comando su le chiese d’Occidente, le medesime arti che adopravan quelle in minor campo, spiegò ardita e sapiente tra i reami; nel cui scompiglio tenne dritto il corso a’ suoi disegni; trapassò dai dommi e dalla morale, ai civili negozi. Indi, fortificandosi a vicenda il papa e ’l clero, questo per tutta Europa imbaldanziva e prevaleasi, come milizia di possente dominazione; quegli, come capitano d’immense forze, sopra ogni altro principe si levò.

Non è che molti umori non sorgessero contro la romana corte nel secolo decimoterzo. Perciocchè un desiderio novello movea gl’ingegni; prendeansi a ricercar tutte le parti dell’umano sapere; si arricchiano i savi di antiche lettere e dottrine: i quali, ancorchè pochi dapprima, e più radi ove lo stato più discostavasi da libertà, per ogni luogo pure la scintilla del sacro fuoco accendeano. Sollevaronsi pertanto gl’intelletti più audaci a meditare sulla mistura delle due potestà, a contemplare i costumi del clero; nè fu lieve incitamento la gelosia de’ reggitori degli stati, svegliata da tanti fatti. Quindi mostravano già il viso alla corte di Roma que’ ch’erano più avvezzi a’ suoi colpi; il gregge provocato, si voltava con aspri insulti contro il pastore; gli anatemi, per troppo usarsi, perdean forza;