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[1282] | del vespro siciliano. | 183 |
anco ad altri potentati, lasciare pe’ nieghi del papa la guerra sopra infedeli, e chiamato in questo dalle città di Sicilia, andarvi a rivendicare i dritti della Costanza e dei suoi figli1. Risolutamente poi comanda la partenza, con ciò che libero sia ciascuno a rimanersi; che se i compagni d’arme l’abbandonino, ei solo andrà. Per queste arti, seguito da’ più, con ventidue galee, una nave, e altri legni minori, e poche forze di terra diè ai venti le vele2.
Il dì penultimo d’agosto, dopo cinque di viaggio, prese terra a Trapani, con giubilo grande del popolo, e maggiore de’ nobili, affaccendati a gara nelle cerimonie della corte che quel dì risorgeano in Sicilia: e baroni montarono sulla nave del re, lo addussero a città, resser su quattro lance il pallio di seta e d’oro sotto il quale egli incedeva; e fu più lieto chi tenne le redini del destriero; gli altri a piè seguianlo, e con essi giovanetti e donzelle, danzando e cantando al suon di stromenti; il popolo a gran voce: «Benvenuto, gridava, il suo re, mandato dal Cielo a liberarlo dall’atroce nemico.» In queste prime allegrezze Palmiero Abate il presenta di ricchi doni, e largamente dispensa grano alle soldatesche. Pietro cavalcò il quattro settembre alla volta della capitale: mandovvi con l’armata e le bagaglie Ramondo Marquet. E quivi a maggiori dimostrazioni s’abbandonò il popolo, più frequente, e stato primo nella rivoluzione, onde peggiore aspettavasi la vendetta angioina. Per ben sei miglia si fece incontro al principe, il menò a trionfo, e all’entrare in città sì forte surse