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[1282] | del vespro siciliano. | 181 |
fede alle sollecitazioni del re d’Aragona e alle disposizioni degli animi nel parlamento, col narrar semplicemente1, che Giovanni Guercio cavaliere, il giudice Francesco Longobardo professor di dritto, e il giudice Rinaldo de’ Limogi, inviati già prima da Messina a Palermo per trattar la chiamata di Pietro, avvenutisi in Palermo con gli oratori del re, speditamente il negozio ultimavano. Mentr’ei così scrive, il semplice Anonimo porta il Queralto approdato per caso in Palermo; e il cortigiano Speciale o favoleggia o simboleggia d’un vecchio ispirato, fattosi di repente nel costernato parlamento ad arringare. Ma niuno non vede che nè fortuito caso fu, nè miracolo questo meditato colpo di scena, sviluppo delle pratiche de’ nostri ottimati con re Pietro. Se tramaron essi fin dai tempi di Niccolò III, se v’ha parte di vero ne’ maneggi del Procida in Sicilia, trionfava in questo parlamento, non già nel vespro, l’antica congiura.
Giunti Castelnuovo e Queralto a Montefiascone, lietamente li udì il papa; per vero credendo rivolto addosso a’ Mori quel sospettato armamento del re; ma non assentia di leggieri le inchieste, avvolgendosi negli indugi della romana curia; e dicea le decime ecclesiastiche servire a’ soli luoghi santi, non a tutta guerra contro Saracini: tanto che gli ambasciadori, sdegnati o infingendosi, tolto commiato appena, tornavansi in Affrica2, ammoniti forse da cardinali nimici a parte francese, che Pietro nulla sperasse da papa Martino, ma pensasse egli a’ suoi fatti3. E in Affrica già aveano gli oratori siciliani con accomodate parole