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[1282] | del vespro siciliano. | 173 |
e levante; perciò Macalda, moglie d’Alaimo, ne tenea le veci in Catania1; perciò se nei primi parlamenti leggiam solo di sindichi e capitani di popolo, vanta Speciale in cotesti successivi la frequenza degli adunati nobili e savi personaggi2. La quale mutazione condusse a un’altra maggiore. Degli ottimati, alcuni per le pratiche anteriori tenean forse a Pietro: riconosceano i più il dritto della Costanza: tutti la monarchia più che la repubblica amavano; nè vedeano in tanto pericolo altro migliore partito che ubbidire ad un solo. A chiamarlo intesero dunque; e in ciò affidati si rimaser da tutt’altro generoso imprendimento, mentre Messina fortuneggiava, e con lei la comun libertà. Solo con le forze che vi s’eran chiuse, e con quegli spessi ardimenti di trafugarvi armati e vivanda3, soccorreanla, chè tenesse contro l’esercito nemico infino all’avvenimento del re d’Aragona.
Questi diversi umori de’ popolani e de’ nobili, questo mutamento dello stato da’ primi ne’ secondi, richiedendo e tempo e opportune circostanze al pien loro effetto, ne seguì che irresoluti e divisi ondeggiarono i Siciliani a lungo sul partito di chiamar l’Aragonese. Le pratiche s’incominciaron private ed occulte da’ partigiani, non in modo pubblico dalle città. Indi vaghe notizie abbiamo del primo appicco di quelle; che i diversi scrittori diversamente narrano, perchè pochi potean saperne, o amavano a dirne il vero4. Ma certo e’ pare che Pietro dopo la rivoluzione caldamente
- ↑ Bart. de Neocastro, cap. 43.
- ↑ Lib. 1, cap. 8 e 9.
- ↑ Questi aiuti, che il Neocastro dissimula un poco, sono accennati da Speciale, lib. 1, cap. 7 e 16.
- ↑ Non merita piena fede Bartolomeo de Neocastro, che le attribuisce (cap. 21) ai Palermitani, narrando come sbigottiti a veder nimico il papa, e Messina leale ancora a casa d’Angiò, deliberassero, persuasi da un Ugone Talach, di gittarsi in braccio all’Aragonese, con tanta prestezza, che Niccolò Coppola orator loro, sciogliea per Catalogna il dì 27 aprile. Il Neocastro incespa nel computo del tempo, con dir che giunto Niccolò in otto giorni alle Baleari, una fortuna di mare spingealo sulle spiagge d’Affrica; dove s’avvenne in re Pietro, che egli medesimo afferma partito di Spagna il 17 maggio, e per più autorevole testimonianza si sa approdato in Affrica il 28 giugno. Segue a intessere il suo racconto: che non volendo il re entrare in quella impresa senza intender l’animo dei Messinesi, rispondea manderebbe a ciò suoi fidati, ma nulla prometteva intanto. Così dà tempo e sembianze a questa pratica, a maggior vanto di Messina sua; senza pure accorgersi che Messina splendea di tanta gloria verace, da doversi sdegnar l’accattata.
Lo Speciale, il d’Esclot, il Montaner, e Saba Malaspina non parlan d’altro, che dell’ambasceria pubblica, della quale ora diremo.
I racconti del Villani, lib. 7, cap. 69, e della Cronaca anonima della cospirazione son sì lontani da tutte queste testimonianze istoriche, da nemmeno farsene parola. Essi non mancano di mandare orator dei Siciliani a Pietro il loro protagonista Giovanni di Procida.