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[1282] | del vespro siciliano. | 161 |
Dina e Chiarenza, donnicciuole di cui l’istoria ingiusta ne tramanda appena il nome, salvaron allora la patria: e fu prima la Dina a gridare all’arme, scagliando insieme un masso che atterrò parecchi soldati; l’altra a martellare a stormo le campane: onde il romore si leva, si spande: «Alla Capperrina il nemico» altro il popol non sa, e nel buio, nel rovinio, non misura il periglio, sì il cerca. Sugli attoniti e delusi nemici piombò col suo fortissim’Alaimo; nè solamente rincacciolli, ma saltando fuor dal ridotto, borghesi i nostri e a piè, incalzavano fin sotto il padiglione di Carlo quei fanti vecchi spalleggiati da cavalli1.
L’insperata virtù di codesti scontri miracol parve a’ nemici, e a’ nostri stessi: il che accrescea i miracoli veri e naturali. Donna in bianco paludamento sorvolar lunghesso le mura; stender soave un velo contro a’ colpi, e ribatterli; innanti sue divine sembianze cascar l’animo agli assalitori; presi d’un ghiaccio volgersi in fuga; e saette inchiodarli, che il feritor non vedeasi; tribolato anco il campo di mortifera epidemia: tanto narravano i nemici soldati a’ nostri, facendosi sotto le mura a parlamentare. L’attestavano con sacramento per lo Iddio adorato da tutti gli umani, i Saracini stessi di Lucera; e chiedeano una volta qual fosse la diva, e più diceano, se non che surto un subito allarme dileguaronsi. Pertanto tenacissima surse in Messina, sprone a fatti più egregi, la fede di quest’aita soprannaturale della Vergin Madre, nella quale teneansi inespugnabili. Sgombro poi che fu l’assedio, alla celestiale proteggitrice alzavano un tempio nel lieto nome della Vittoria: il miracol tramandossi di generazione a generazione, e la facile istoria il registrò2.