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del vespro siciliano. |
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fuga dal grembo d’una madre; ma resistenza
legittima, secondo ragion canonica e civile; ma casto amore, zelo
della pudicizia, santa difesa di libertà. Rivanghiamo la voragine de’
nostri mali; traggiamo a riva l’alga corrotta nel profondo del mare.
Ecco le donne sforzate al cospetto de’ mariti; viziate le donzelle;
accumulate le ingiurie, sì che par non resti luogo ad altre nuove:
ecco le battiture su le spalle; le mani che s’alzano a percotere una
faccia ritraente l’immagine del Creatore; gli omicidî; le prigionie;
le rapine; il disprezzo; l’occupazion de’ beni delle chiese; la brutal
forza che comanda; il principe fatto solo arbitro de’ matrimoni. Nè la
corte di Roma ignorava, nè potea ignorar questi mali, notissimi alle
genti più lontane. Avvi, o padri coscritti, un estremo furore della
sventura, una forza di necessità, una reazione dell’umana libertà: e
allora nessun eccesso di crudeltà è tanto immane, che non giovi con
l’esempio, reprimendo i malvagi. Fu squarciato il corpo alle donne;
furono uccisi i bambini anzi che nati: la storia il narrerà ai secoli
più lontani; e così periscano i vizi prima di venire alla luce; si
dissipi il veleno con la prole de’ serpenti.» A queste empie parole
non manca la sublimità della disperazione e della ferocia. «A voi,
ripiglia l’ignoto autore, lasciando i cardinali e addentando il papa,
a voi si volge ora il sermone; su voi voterò il calice. Fremono d’ogni
intorno le guerre; minacciano i nemici; tremano le nazioni, lacerate
dalle guerre civili e dalle straniere: son questi, o padre, i frutti
delle opere vostre!» E qui tocca la connivenza alla sommossa di
Viterbo, e tutti gli abusi di re Carlo in Roma; e ritrova non pochi
torti a Martino; e gli ricorda che, seguendo un interesse di parte,
menomasse l’autorità del pontificato; che i misfatti permessi perchè
piacciono, portan poi i misfatti che spiacciono; ch’ei non dovea
promuovere i suoi partigiani, e trascurar le altre faccende