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144 la guerra [1282]

macchinava: che i baroni indettati con esso aizzavano forse il popolo, ma non si sentivano per anco forti abbastanza, e bilanciando e maturando forse non avrian mai fatto ciò che la moltitudine compì senza rifletterci. Il popol era mosso senza saperlo dall’antagonismo nazionale; ma ben sapea i suoi mali, e che rimedio ce n’era un solo. Gli aggravî per l’impresa di Grecia, gli oltraggi della settimana innanzi pasqua in Palermo, l’intollerabile insulto di Droetto colmaron, colmaron la misura: si trovò tra le tante migliaia una mente o leggiera o profonda, con una mano risoluta, che cominciò. Prontissimo il popol di Palermo di mano e d’ingegno, si lanciò in un attimo a quell’esempio, perchè tutti voleano a un modo, da parer congiura a mediocre conoscitore, che non pensi come sendo disposti gli animi, ogni fortuito caso accende sì eguale, che trama od arte nol può. Que’ che si fecer capi del popolo allora preser lo stato; ordinaronlo a comune, come portavano gli umor loro; per la riputazione del successo il tennero, finchè la influenza de’ baroni lentamente spiegossi, e il pericolo si fe’ maggiore. Allora la monarchia ristoravasi; allora esaltavan re Pietro; allora, io dico, operava la congiura, se v’ebbe congiura; nel vespro non mai. Al meraviglioso avvenimento poi tutto il mondo cercò una cagione meravigliosa del pari: dopo breve tempo, il fatto del vespro e quel della venuta di Pietro si ravvicinarono e si confusero: scorsi alquanti più anni, trapelava qualche pratica anteriore: alcuno forse l’accrebbe, vantandosi. E nel reame di Napoli, e nell’Italia guelfa, e in Francia con maggiore studio si propalò quella voce della congiura; parendo gittar biasimo su i Siciliani, e scemarne al reggimento angioino. Così via corrompendosi il fatto, si passò dalla congiura di Procida con tre potentati, a quelle strane favole della uccisione di tutti i Francesi in Sicilia in un dì, anzi in un’ora, della cospirazione di una intera nazione per