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[1282] | del vespro siciliano. | 131 |
il popol dubbio si doma, il risoluto s’affretta. Perchè mandati novanta cavalli con Micheletto Gatta ad occupare le fortezze di Taormina, quasi non fidandosi de’ Messinesi del presidio, costoro che li vedean salire sì alteramente in ostile sembianza, stimolati da un cittadino per nome Bartolomeo, li salutarono con un grido di ingiuria e una grandine di saette; e appiccarono la zuffa. Caddervi quaranta Francesi: gli altri a briglia sciolta si rifuggiro nel castello di Scaletta: e i nostri, abbattute le insegne di Carlo, su Messina marciarono a sforzarnela a ribellione.
Dove tra’ mille che voleano e non osavano, Bartolomeo Maniscalco popolano, con altri molti congiurò a dar principio ai fatti. Intanto preparandosi le armi a respingere i sollevati di Taormina, deploravano i cittadini più posati la imminente effusione del civil sangue; il popolo stava a guinzaglio1; nè erano neghittosi i cospiratori. Forse allor fu, ch’entrata in porto una galea palermitana, dandosi a trucidar alcuni Francesi, affrettava l’evento2: ma raro avviene in così fatti incendi scerner netto qual fosse la prima scintilla. Era il ventotto aprile. Scoppian tra la commossa plebe le grida «Morte ai Francesi, morte a chi li vuole!» e incominciano gli ammazzamenti: pochi allora, perchè il minacciar sì lungo avea sgombrato dalla città la più parte de’ Francesi. Maniscalco in questo coi suoi fidati, innalza in luogo dell’abborrita insegna d’Angiò la croce messinese: per poco ei capo del popolo; ma fosse modestia sua, o forza de’ cittadini maggiori che prevalson sempre nell’industre Messina, per loro consiglio la notte stessa risegna il reggimento al nobil uomo Baldovin Mussone, poche ore innanzi tornato con Matteo e Baldovin de Riso dalla