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alla città di Messina sclama: «Già Iddio ti dice: togli in collo il tuo giaciglio e va, che sei sana,» or i cittadini esorta «a pugnare con l’antico serpente, e rigenerati nella purezza de’ bambini, succhiare il latte di libertà, cercar giustizia, fuggire calamità e vergogna1.» Mentre i Palermitani con tai faville bibliche tentavano que’ cittadini, Erberto d’Orléans s’afforzava nelle armi straniere, e nei nobili Messinesi di parte angioina, che s’eran prevalsi in cento soprusi contro i lor concittadini, ond’ora strettamente per lo vicario teneano. E dapprima inviò ad osteggiar Palermo sette galee messinesi, sotto il comando di Riccardo Riso, colui che nel sessantotto con poche navi aveva osato affrontar tutta l’armata pisana, e or correa nella guerra civile a perder l’onore di cittadino e il nome di prode. Perchè congiuntosi con quattro galee d’Amalfi, che ubbidiano a Matteo del Giudice e Ruggier da Salerno, a bloccare il porto di Palermo si pose: e com’altro non potea, approcciato

  1. È pubblicata questa epistola dall’Anon. chron. sic., pag. 147 a 149, nella Bibl. arag. del Gregorio, tom. II; dal Lünig, Codex Italiæ diplomaticus, tom. II, n. 49, ma con errore di data; e in altri libri.
    Mi è parso pregio dell’opera trascrivere nel docum. V questa epistola, importantissima per l’argomento e per lo stile. Essa fu tenuta in molto pregio in que’ tempi, e si trova in molte collezioni epistolari. Avvene una copia nella Bibl. reale di Francia, MS. 4042, ch’è un volume di epistole di Pietro delle Vigne, del card. Tommaso da Capua e d’altri. È seguita immediatamente dalla prima bolla di scomunica di Martino IV, e da una risposta a quest’atto del papa, indirizzata a’ cardinali, che io pubblico al docum. VII. L’autenticità di questo documento per altro è convalidata dal d’Esclot, cap. 81, il quale ne porta una parafrasi, sovente con le medesime parole del nostro originale; se non che la data, certo erronea, è del 14 maggio.
    Gio. Villani, lib. 7, cap. 61, dice ancora di tali pratiche «di quegli di Palermo contando le loro miserie per una bella pistola, e ch’elli doveano amare libertà, e franchigia, e fraternità con loro.»
    Bart. de Neocastro a cap. 19 e 20 foggia a suo modo, lontanissimo da ogni verosimiglianza, e l’epistola e la risposta, con quella che gli pareva arte oratoria, e quel che gli pareva amor della sua patria.